Cambio euro dollaro ai massimi da due anni

Scritto da Egidio Lori on . Postato in Notizie

È dal febbraio di quest’anno che il dollaro mostra un progressivo indebolimento sull’Euro – sfociato ora nel superamento dell’area di cambio a 1,37 – ma anche una sostanziale sofferenza nei confronti delle altre principali valute del mercato (soprattutto lo Yen e la Sterlina). Questa prolungata debolezza della divisa statunitense si sta traducendo in un apprezzamento degli indici borsistici americani (e Wall Street lo sta già dimostrando), ma c’è da attendersi un calo delle quotazioni dei bond USA, in conseguenza della crescita dei rendimenti corrispondenti. Se è vero che il crollo del dollaro non può dirsi del tutto inatteso – considerando lo shutdown che ha paralizzato l’attività federale per più due settimane e l’intesa politica non risolutiva con cui è stato interrotto – la performance della divisa verde va anche ad innestarsi sul dato occupazionale statunitense di settembre, a dir poco deludente. Senza contare poi il downgrade da parte di Dagong (da “A” ad “A-“) e il sempiterno timore che anche Fitch possa seguire l’esempio. La debolezza della ripresa USA, a questo punto, lascia pensare che la Federal Reserve, nel breve termine, non potrà rinunciare alla sua azione di stimolo monetario. Ciò significa che gli acquisti mensili di asset dovranno gioco forza continuare perlomeno fino al 2014, mentre le prime manovre di tapering difficilmente si potranno vedere prima della primavera del prossimo anno. Si tratta peraltro di una valutazione piuttosto aleatoria (secondo molti suscettibile di un peggioramento) dal momento che la manovra monetaria è legata a doppio filo con i livelli occupazionali, i quali, a loro volta, risentono di una eccezionale condizione di incertezza della politica economica: una sorta di circolo vizioso. Va ricordato, infatti, che la Fed ha fissato un tasso di disoccupazione del 6,5% come il livello soglia dal quale sarebbe possibile sospendere l’alleggerimento quantitativo. Oggi siamo al 7,2%, livello che non comprende neppure l’esercito degli “sfiduciati” e sconta un ulteriore rallentamento delle assunzioni (40.000 posti di lavoro meno del previsto a settembre) legato alla mancanza di chiarezza sui trattamenti fiscali (ma anche sanitari) da applicare alla forza lavoro.